mercoledì 17 giugno 2015

Stop being so selfish, Gene.

PREMESSA

Io non voglio vivere per sempre: deve essere noiosissimo. 

Ciclicamente le persone attorno a me si lamenterebbero in modo miope delle stesse cose di cui si lamentano nell'arco di una breve vita umana: l'immigrazione, le tasse, quelli che si lamentano dell'immigrazione e delle tasse, e così via. Io (ma volendo essere gentili anche tu) da Matusalemme immortale avrei già trovato la soluzione a tali banali problemi, ma mancando gli altri intorno a me del cosiddetto occhio dell'eternità (anche se sarebbe più giusto parlare di orecchio dell'eternità in questo particolare caso), non mi seguirebbero. Sono sempre stato un leader poco carismatico e abbastanza allergico alle folle. Patirei in pratica la famosa maledizione di Cassandra, la profetessa che fu condannata dagli dei a predire sempre il vero ma al contempo a non essere mai creduta da nessuno.


SVILUPPO DELLA TESI

Questo tema non sviluppa alcuna tesi. Salta direttamente a delle conclusioni, si tratta delle famose "conclusioni affrettate".


CONCLUSIONI

Perché? Mi chiedo, perché io, data la premessa, dovrei stare male emotivamente o comunque avere dei disagi per il seguente, non completo ma abbastanza rappresentativo, elenco di cose? Innamoramenti, piuttosto che insuccessi lavorativi, piuttosto che convenzioni sociali, piuttosto che lutti in famiglia, paura della morte, paura delle malattie, angoscia per un futuro incerto, senso di inadeguatezza estetico, erezioni inopportune, per non parlare di quelli che usano "piuttosto che" in modo sbagliato! Ma, più di tutto, per questo permeante senso di inadeguatezza su scala esistenziale (anche se, veramente, ho già detto <<quelli che usano "piuttosto che" in modo sbagliato>>?). 
Tutto questo accade per colpa di uno che di battesimo (diocesi ignota) si chiama Gene. Gene non è una persona, Gene è un'unità molecolare auto-replicantesi, che non sa di appartenermi e non ha il più vago accenno di autocoscienza, e quindi il mio dolore proprio non lo può condividere né capire. 

E questo Gene vuole vivere per sempre, lui che letteralmente non sa che farsene, dell'eternità.

domenica 18 gennaio 2015

GILLO CONTRO GILLO

Gillo era una persona molto distratta. Come tutto il resto delle persone. Perché, sia chiaro, tutti siamo continuamente distratti da qualcosa: un paio di seni giunonici, l'uscita del nuovissimo album di David Gilmour dei Pink Floyd, le ultime voci di calciomercato, le elezioni politiche et cetera, in pressoché rigoroso ordine di influsso sulla nostra vita. Dico pressoché perché mi piace come parola, ma anche un po' perché, se l'ordine fosse veramente rigoroso, "et cetera" andrebbe prima delle elezioni politiche, ma una delle mie personalità multiple è un latinista e mi ha detto che non è cosa. Dicevo, siamo tutti distratti da qualcosa, la chiamano big data revolution, e proprio quando ci sembra di avere superato la dose giornaliera di distrazioni è generalmente giusto giusto l'ora della pausa pranzo.

Ma io sto divagando. 

Ebbene, la natura della distrazione di Gillo era però peculiarissima e merita due parole in più. Si metteva ognidì egli di buon'ora, seduto alla scrivania del proprio ufficio, a scartabellare fascicoli e a girare la rotella del mouse su voluminosi documenti pdf. Non passavano che pochi secondi, quando subito doveva interrompere i suoi intenti di funzionalità socio-economica per concentrarsi su una cosa sbalorditiva: inclinando il capo e ruotando il collo leggermente verso sinistra poteva infatti scorgere una mano, che concisamente possiamo descrivere come speculare non sovrapponibile a quella con cui girava la rotella del mouse, una mano attaccata ad un braccio pallido e flaccido, parzialmente coperto da una camicia a righe. Dalla prospettiva di Gillo a dirla tutta non si poteva essere sicuri fosse una camicia, non potendone vedere il colletto. Pur tuttavia Gillo si ricordava di averne messa una uguale quella mattina. Ebbene questa mano era indubitabilmente quella che ogni ortopedico che si rispetti chiamerebbe "la mano sinistra di Gillo".
Ciò lo fece trasalire! Da quanto tempo era lì appoggiata quella mano mentre lui, povero, cercava di lavorare? E l'impudente non era sola: fra i fastidiosi "voyeur" possiamo citare anche entrambi i mignoli dei suoi piedi, due capezzoli, l'ombelico e numero due testicoli, i quali portavano il totale dei coglioni presenti nell'ufficio a quota tre. Insomma, per quanto fosse kafkiano ammetterlo, Gillo era distratto dalla propria presenza. Non riusciva a capacitarsi del fatto che mentre lui era lì che lavorava indefesso, lui era anche in parte lì a non fare niente. Qualcuno avrebbe potuto obbiettargli che lui non era quello che l'ortopedico di cui sopra chiamerebbe "il corpo di Gillo", ma aveva appena pagato 60 euro per un mese di palestra, ciocché lo rendeva poco incline a prestare ascolto a questa eventuale campana platonista. Un giorno, definitivamente esausto per il troppo poco lavoro, Gillo, che aveva studiato ottimizzazione(I e II), ebbe un'idea geniale: decise di usare la mano sinistra per masturbarsi. Purtroppo qualcosa andò diritto storto: il modello che aveva elaborato si rivelò essere fortemente approssimativo e la pratica onanistica impedì definitivamente alla sua mano destra di girare qualsivoglia rotellina con profitto. Disperato, eseguì un perfetto doppio carpiato raggruppato con avvitamento dalla finestra.

Quattro settimane dopo, l'infermiera del turno di notte gli chiese se avesse bisogno o meno di un cambio di catetere. Lui rispose con due battiti di ciglia in rapida successione, che come pattuito codificavano la risposta "No". L'infermiera gli diede la buonanotte, spense la luce e lo lasciò solo. Una lacrima di gioia scivolò dalla guancia di Gillo bagnando il suo corpo paralizzato.